
LE CRONACHE DELL'INFINITO
di Alessandro Bononi

Capitolo 1 - Un incontro inaspettato
Cap. 1 - Un incontro inaspettato
In una frizzante giornata di autunno, una di quelle giornate in cui è piacevole scaldarsi davanti ad un camino acceso mentre il sole scende dietro l’orizzonte, la famiglia Walker, padre madre e i due figli, si avventura, come ormai consuetudine da diversi anni, verso la cima di una stretta valle in alta montagna. E’ una loro usanza, che negli anni si è trasformata in una sorta di tradizione di famiglia, quella di trascorrere un fine settimana lontano da tutti a contatto con la natura. Hanno affittato una graziosa baita proprio al limitare del bosco e non è raro vedere alle luci dell’alba cerbiatti, volpi e qualche cinghiale. Mentre papà e mamma scaricano le valigie, William e Percy, fratelli tra cui sembra esistere una sintonia innata, si accingono ad accendere un fuoco nel vecchio caminetto di pietra. Entrambi devono il nome all’amore per la letteratura e la poesia della madre, da cui hanno ereditato anche gli occhi chiari dal particolare taglio vagamente orientaleggiante, caratterizzati dal colore grigio con pagliuzze dorate. Ridono spesso del nome toccato loro in sorte: fortunatamente hanno avuto la meglio Shakespeare e Shelley su Keplero e Copernico, i nomi messi in campo dal padre, scienziato fino all’osso. Pur essendo molto diversi condividono quasi tutto: sport, passioni e amore verso la natura e la poesia. William diciassette anni, con i suoi modi pacati e la sua capacità di trasmettere sicurezza e tranquillità, soprattutto nel burrascoso Percy, quindici anni, sempre pronto a buttarsi nella mischia e incurante dei rischi: due fratelli che a primo impatto sembrano non avere nulla in comune, ma che anche in questo momento si dividono i compiti in perfetta sintonia, scherzando e prendendosi in giro bonariamente. Tutto sembra andare per il meglio: gli stecchi sono posizionati, le scintille partono dall’accendino danzando leggere intorno alle sterpaglie e ai ramoscelli più piccoli, da cui però si sprigionano pesanti volute di fumo grigio e denso che riempiono la piccola stanza. Mentre Percy esce per chiedere aiuto ai genitori, William si affaccia per capire cosa ostruisca la canna fumaria, e a quel punto resta senza fiato. Due grandi occhi emergono dal buio. La fumana si muta in un uomo dall’età indefinibile, un fisico longilineo coperto da una tunica tradizionale che stringe in mano una lira. Quasi nessuno sarebbe stato in grado di riconoscere la figura, ma William e Percy, cresciuti tra libri di poesia e poemi epici, lo identificano come Orfeo, sceso direttamente dall’Olimpo. Quando la divinità inizia a parlare, i due fratelli rimangono stupiti: la sua voce ammaliante sembra provenire da tutte le direzioni e nessuna in particolare. - C’è stato un tempo in cui gli eroi camminavano sulla terra e voi umani vi inginocchiavate a loro cospetto. A quel tempo le mie figlie vagavano libere sulla superficie del mondo, donando la scintilla della poesia, dell’epica a tutti voi che consideravamo come figli. Poi le ere si sono susseguite, alternando il giorno alla notte, l’inverno alla primavera, e voi vi siete lentamente dimenticati di noi. Ora quasi nessuno ricorda le nostre imprese. Una volta poter guardare il mondo dagli occhi di un dio era considerato un privilegio, ora invece pare una cosa superata da molti. L’equilibrio fra i tre mondi che conoscevamo tutti si sta perdendo, avvicinando sempre di più l’Ade all’Olimpo.

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Cap. 2 - Un mostro dai denti acuminati
Quando questi due si scontreranno, avrà inizio la Titanomachia, e se mai giungesse il terribile momento in cui i Titani riuscissero a prevalere sugli stessi dei immortali dell'Olimpo, si scatenerebbe un'epoca di caos inimmaginabile. L'equilibrio cosmico, che da tempi immemorabili è stato mantenuto dalla supremazia degli dei olimpici, vacillerebbe di fronte alla potenza inarrestabile dei Titani.
Gli esseri divini, soliti ad essere portatori di ordine e armonia, verrebbero piegati sotto il peso implacabile delle forze titaniche, e gli astri che scandiscono il tempo scomparirebbero nel buio, lasciando la Terra immersa nell'oscurità perpetua.
Il vostro compito è quello di fermare la traversata dei due mondi, riscrivendo le Cronache dell’infinito, il libro che racchiude tutte le poesie, la letteratura, i poemi epici e gli eroi. Le pagine si stanno svuotando di parole, le frasi perdono vita, gli eroi smarriscono il coraggio che li rende eroici, morendo con le loro storie. Voi dovrete riportare alla luce la verità, tramite il fuoco della conoscenza.”
Mentre le ultime parole si spegnevano con il fuoco, il fumo iniziava a roteare in un mulinello vorticoso. Gli sguardi dei ragazzi si perdevano nell’occhio del ciclone, i loro corpi rinchiusi in una scura gabbia erano immobili, i muscoli marmorei erano impotenti davanti allo shock del momento. Quando il grigio iniziava a farsi meno fitto sprazzi di un cielo limpido si facevano spazio tra la nebbia. Le onde suonavano delicatamente, la barca fluttuava nel mare. Percy si girò e vide l’inconfondibile Argo tenere per mano la sua scia che si propagava nel mare come urla di feriti in un campo di battaglia, ma non una battaglia qualunque, una battaglia dove un piccolo esercito inerme tenta di difendersi da un’armata senza eguali: la natura. Ci misero qualche attimo per assimilare il fatto che le grida che penetravano loro le orecchie erano reali. Spalancarono gli occhi e abbandonarono la quiete del loro sonno. Intorno a loro si alzava un tifone che li chiudeva su tutti i fronti. All’interno dell’occhio del ciclone le onde rimbombavano come i tuoni riecheggiano nella notte. La nave cercava di inseguire le pareti vertiginose senza mai oltrepassarle. Continuò fino a quando non arrivò a pochi metri dalla terraferma dove il tifone si fermò. William e Percy non capivano perché il turbinio avesse iniziato a fuggire fino a quando non si voltarono e videro delle fauci spalancate su molteplici file di denti acuminati. Questa belva era già ben nota ai due fratelli, così come a tutto l’equipaggio: colei che già una volta aveva inghiottito la nave, Cariddi. Quando William si accorse che l’orrenda creatura si stava preparando a ingollare l’intera imbarcazione, il suo istinto di sopravvivenza venne in suo aiuto e gli porse una corda che afferrò avidamente e, mentre stringeva lui e il compagno all’albero maestro, sentì Ulisse urlare la medesima cosa, ma oramai era troppo tardi: il suo grido venne soffocato dal mare, lo stesso mare che gli aveva donato la gioia di vivere mille avventure, lo stesso mare che stava rubando furtivamente le vite delle persone a lui più care, lo stesso mare che ora lo aveva abbandonato a sé stesso. Ulisse venne scagliato fuori dalla bocca di Cariddi, solo come non mai. Si allontanò il più possibile dalla riva, dove solo gli dei che non toglievano mai gli occhi da lui potevano vederlo. “ “Miei prodi compagni, vi ho riunito qui oggi per fuggire dalla sopravvivenza e tornare a vivere”. Se non avessi mai sputato quelle parole, se non avessi avvinghiato i miei compagni e non li avessi portati dove sono ora, adesso non mi ritroverei sulla cima di questo Ginepro con una corda che abbraccia il mio collo. Solo io so quanto è difficile sopravvivere al mare e poter vivere senza di esso”.

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Cap. 3 - Lo spirito dell'Eroe
Mentre Ulisse spendeva le sue ultime parole con Artemide e già i sensi lo abbandonavano, si sentì afferrare da quattro braccia esili ma robuste: William e Percy, ancora increduli, stavano salvando la vita di uno degli eroi che riempiva le storie che tanto li appassionavano da bambini.
- Oh chi siete voi per bloccare il mio passaggio all’aldilà? -
William rispose prontamente - Oh grande Ulisse, placa il tuo spirito in tumulto, Orfeo stesso ci ha chiesto di raggiungerti oggi per salvarti da un destino che non t’appartiene. - Percy guardò il fratello con aria stranita bisbigliando: - Come diavolo parli? -
- Dobbiamo adattarci alla situazione e all’epoca in cui ci troviamo per ispirare fiducia e portare a termine la missione affidataci da Orfeo. - Dopodiché si rivolse a Ulisse: - Dunque grande Ulisse, eroe di Itaca, cosa ti porta a un gesto tanto estremo, di certo indegno della tua nomea, mentre la tua nave cola a picco con tutto il tuo equipaggio? Dov’è finita la tua audacia? Dov’è l’astuzia che ti ha permesso di superare i flagelli che gli dei ti hanno scagliato contro? Rianimati dunque e trova insieme a noi un modo per ritrovare Argo e i tuoi fidati compagni d’avventura -
- Ormai tutto è scritto, la mia grandezza che mi caratterizzava giorni or sono non è più mia guida, il coraggio non è più mio discepolo. Non posso più tornare al mio trono, ogni eroe prima o poi viene sovrastato ed eclissato, questo è il momento di darla vinta a Poseidone e di lasciar correre il ciclo della vita. -
E mentre Ulisse si lasciava trasportare dal torpore, probabilmente Atena, sempre stata favorevole all’Odisseo, colpì Percy con un lampo di genio che, mostrando un portachiavi che tiene stretta una semplice torcia dei loro giorni, disse:
- Questa non è una fine degna della tua fama e delle tue imprese e non è certo così che i posteri ti dovranno ricordare. Oh fiero Odisseo, impugna questa torcia divina e ravviva nel tuo cuore l’ardore che ti ha riportato a Itaca la prima volta, e salva per un'ultima volta i tuoi compagni che ancora confidano in te. -
- Usa quindi questa corda non per darle in pasto i tuoi ultimi respiri, bensì per salvare le anime della tua ciurma dall’insaziabile fame di Ade. - Concluse William.
Ulisse, ancora immerso nell'oscurità, fu improvvisamente risvegliato dal lampo di genio di Percy. La voce di Atena echeggiò nella sua mente, risvegliando il suo spirito guerriero e la determinazione che l'avevano spinto attraverso innumerevoli prove e avventure.

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Cap. 4 - Specchiarsi nell'abisso
Con la torcia divina stretta nel pugno, Ulisse sentì il fuoco divampare nel suo cuore, illuminando la sua anima e risvegliando la fiamma dell'ardore che lo aveva sempre condotto a combattere e a sopravvivere. Era giunto il momento di salvare i suoi compagni, coloro che ancora confidavano in lui, dall'oscurità implacabile di Ade. La corda, simbolo di una connessione vitale e dell'aiuto reciproco, non avrebbe dovuto essere un nodo di fine, ma un ponte verso la salvezza.
- Compagni valorosi, nonostante le sfide che abbiamo affrontato e i pericoli che ancora ci circondano, non siamo soli in questa oscurità. La luce della speranza brilla ancora nelle nostre anime e il nostro destino è ancora nelle nostre mani. Sono stato scosso dal sonno dell'inerzia, ma ora rinasco con rinnovato coraggio e determinazione.
Noi siamo guerrieri, indomiti e perseveranti. Non cederemo all'oscurità e non permetteremo alle anime dei nostri compagni di essere inghiottite dalla fame di Ade. Con questa torcia divina e con questa corda, creeremo un sentiero di salvezza e riscatteremo le nostre anime dalla preda di un destino crudele.
Sarà un'impresa ardua, ma siamo stati forgiati dalle sfide e temprati dal fuoco delle avversità. Abbiamo dimostrato il nostro valore in passato e lo dimostreremo ancora una volta. Nonostante le prove che ci attendono, andremo avanti con coraggio e fiducia nel nostro destino. Che la nostra fama si tramandi come un canto eroico, un'ode alla nostra forza e alla nostra devozione. Che i posteri ci ricordino non solo per le nostre imprese, ma per il nostro coraggio nell'affrontare l'oscurità e nell'illuminare il cammino per coloro che verranno dopo di noi. Che l'eco delle nostre vittorie risuoni per sempre, come una melodia che nutre il cuore e l'anima. Siamo pronti a sfidare il destino e a scrivere un nuovo capitolo nella leggenda di Ulisse, dove la fiamma della nostra determinazione brillerà per sempre. -
Con fede incrollabile, Ulisse affrontò l'abisso che si apriva davanti a lui. Con maestria e audacia, legò saldamente la corda attorno a uno dei denti affilati di Cariddi, preparandosi ad affrontare le sorti mortali che ingoiavano le vite dei suoi compagni. In quel momento, si spinse verso il basso, calandosi nell'orrendo abisso come un angelo caduto che sfida il destino stesso.

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Cap. 5 - Come fenici dalle ceneri
La sua discesa fu una sinfonia di coraggio e speranza, mentre le spire oscure di Cariddi si avvolgevano intorno a lui come serpenti famelici. Ulisse affrontava le viscere profonde dell'oceano con la determinazione di un eroe immortale. Il fragore dell'acqua risuonava come un tuono nelle sue orecchie, mentre la sua anima danzava sul filo sottile tra la vita e la morte.
Finalmente, tra le tenebre avvolgenti, Ulisse scorse le sagome dei suoi compagni, deboli e prostrati dall'agonia e dalla paura. I loro sguardi si illuminarono di speranza quando videro il loro eroe avvicinarsi, come se un cherubino li stesse guidando fuori dall'oscurità.
Ulisse li raggiunse con un misto di tenerezza e fermezza nel suo sguardo, pronunciando parole di incoraggiamento che risuonarono come una melodia liberatrice. Con gesti decisi, li aiutò a liberarsi dalle spire mortali di Cariddi, spezzando le catene dell'orrore che li avevano imprigionati.
Le anime stanche e prostate dei marinai risvegliarono un barlume di forza e speranza, sospinte dal calore della presenza di Ulisse. Si guardarono negli occhi, rinfrancati dalla presenza del loro amato capitano, e insieme si prepararono a lottare per la propria salvezza.
Con una determinazione feroce, Ulisse organizzò il loro piano di fuga. Conoscendo le insidie di Cariddi, sapeva che il momento giusto per affrontare le potenti correnti e le tempeste doveva essere scelto con cura. Con una voce che risuonava come un comandamento divino, guidò i suoi compagni verso la via di fuga, mostrando loro il cammino attraverso i pericolosi gorghi e i vortici inarrestabili.
Come un condottiero che guida le sue truppe alla vittoria, Ulisse si aggrappò con forza alla corda e guidò i suoi compagni verso la luce che scorgevano all'orizzonte. Ogni passo era un atto di fiducia nella propria capacità di superare le prove più spaventose, di sconfiggere il mostro che li aveva inghiottiti.
Finalmente, dopo un'ardua battaglia contro le forze dell'oceano, i marinai di Ulisse emersero dalle fauci di Cariddi, come fenici che risorgono dalle ceneri. Le acque tumultuose si placarono come se riconoscessero la loro sconfitta, mentre la luce del sole rischiarava i loro volti segnati dalla fatica e dal terrore.
In quel momento, la gratitudine colmò il cuore di Ulisse, che si rivolse ai suoi compagni con parole di ringraziamento e ammirazione per la loro resistenza e il loro coraggio. Il loro spirito indomabile aveva affrontato la morte stessa, emergendo vittorioso, forgiando un legame indissolubile tra loro.

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Cap. 6 - Una lancia scintillante
Mentre il fumo ricominciava a vorticare intorno a Percy e William e Ulisse e compagni scomparivano dalla loro vista, Le cronache dell’infinito tra le mani di Orfeo riprendevano vita, i poemi epici si riscrivevano e gli eroi dell’epica ritornavano a splendere. Orfeo sorrise e si preparò a guidare dall’alto i ragazzi verso la successiva tappa del loro viaggio.
Quando il turbinio si placò, i ragazzi si ritrovarono avvolti in una densa nebbia che si sprigionava dalle acque di un lago proprio di fronte a loro. Aguzzando la vista, i due fratelli intravedevano la sagoma di un’isola al cui centro sembrava stagliarsi un castello medievale, simile a quelli dei libri di storia. Avvicinandosi alla riva trovarono una barca che sembrava accudire un oggetto dalla forma longilinea coperto da un drappo di stoffa rubino. Percy si avvicinò precipitosamente e, salendo sul legno, agguantò subito l’oggetto misterioso. Tolse l’involucro che lo custodiva: non poteva credere ai suoi occhi. Un’aura mistica si ergeva come a proteggere il fulgido oggetto che risplendeva alla luce del sole. Una lancia d’argento scintillante, contrassegnata dalla punta dorata e dall’impugnatura, avvolta in tessuti e adornata da gemme preziose e ornamenti intricati. Nella mente del ragazzo si erse come un emblema, come un faro nel pantheon dei grandi sovrani leggendari. Quella era definitivamente l’illustre lancia di Re Artù. Oltre l’orizzonte incantato si stagliava maestosa Avalon, in tutto il suo splendore irreale. Le sue rive, avvolte in una nebbia dorata, sfumavano nell'azzurro infinito dell'oceano, creando un'atmosfera mistica e sospesa nel tempo. Le colline vestite di verde si snodavano come morbidi declivi, persi nella distanza. L'aria che le avvolgeva era impregnata di una dolcezza floreale, il profumo di fiori si mescolava al salmastro del mare. In lontananza, si intravedevano le torri di cristallo di un palazzo che riflettevano la luce del sole con una brillantezza che rapiva l'occhio e incantava l'anima.
- Vi ho cercato, giovani viaggiatori, perché avete il potere di trasformare il destino delle parole stesse - disse la voce di Orfeo con tono pacato ma carico di significato, che si perdeva nell’aria - Nelle Cronache dell’infinito, le pagine si stanno sgretolando, i racconti si stanno perdendo nel buio del tempo. È necessario risvegliare Re Artù e guidarlo verso l'ultima battaglia, affinché possa trionfare e riscrivere il corso degli eventi. -
I due fratelli sapevano che era arrivato il momento di iniziare a remare verso l’isola fatata.
Le onde si infrangevano dolcemente sulla vecchia barca di legno, mentre i due giovani protagonisti si preparavano ad affrontare il misterioso viaggio verso l'isola di Avalon. L'aria era impregnata di eccitazione e un leggero senso di incertezza aleggiava nell'atmosfera.

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Cap. 7 - Una voce dal lago
Man mano che la barca si allontanava dalla costa, un velo di nebbia iniziò a salire dal mare, avvolgendo il mondo con la sua presenza eterea. Le acque si trasformarono in uno specchio opaco, riflettendo solo l'ombra indefinita della barca che solcava il mare calmo.
Fu allora che una voce lontana e malvagia si levò dal cuore della nebbia, ma questa volta non era Orfeo. Era la voce di Morgana, la strega perfida e sorella di Re Artù, che custodiva gelosamente i segreti di Avalon. La sua voce si diffuse nell'aria come un eco sinistro.
- I temerari che cercano l'isola di Avalon devono superare la mia sfida - disse Morgana con tono minaccioso. - Solo coloro che dimostreranno di essere degni potranno varcare la mia soglia. Dovrete dimostrare la vostra forza, il vostro coraggio e la vostra saggezza. Altrimenti, saranno le acque gelide a diventare la vostra tomba. -
Le parole della strega risuonarono nel cuore dei giovani viaggiatori, ma il loro desiderio di riscoprire la magia di Avalon era più forte della paura che li avvolgeva.
Man mano che si avvicinavano all'isola, le voci si facevano sempre più chiare e Morgana continuava a sussurrare le sue sfide, cercando di sgretolare la loro fiducia. I giovani, però, spronati da una fiamma interiore, si rifiutarono di cedere. Con passi decisi e sguardi ardenti, si prepararono ad affrontare le prove che li aspettavano.
La barca s'immobilizzò, attraccando sulla riva di Avalon, e i due giovani si lanciarono verso l'ignoto con coraggio. Era il momento di dimostrare la loro virtù, di superare le prove che Morgana aveva gettato sul loro cammino e di riscrivere il destino di Avalon con la loro audacia. Lasciato alle spalle il mare avvolto dalla nebbia, gli sguardi di Percy e William sbatterono in una visione maestosa quanto intimidatoria: il labirinto di Avalon. Quest’ultimo si ergeva davanti a loro come un'imponente struttura di pietra, intrecciata con intricati passaggi e volte che sembravano sfidare la stessa logica del tempo. Le sue pareti erano erette con pietre antiche e avvolte da una vegetazione rigogliosa. I due giovani pionieri si avventurarono cautamente all'interno del Labirinto, lasciandosi guidare dallo spirito dell'avventura e dalla speranza di preservare la letteratura della storia. Ogni passo che compivano rivelava un intricato intreccio di sentieri e bivi, creando un'atmosfera di incertezza e suspense. Le loro voci echeggiavano tra le mura di pietra, persi nel dedalo di corridoi che si dipanavano davanti a loro. La luce fioca filtrava attraverso fessure e finestre ad arco, disegnando trame di ombre lungo il percorso.

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Cap. 8 - Il Labirinto
Avanzando imperterriti, i due fratelli giunsero in una parte del Labirinto che sembrava essere una distorsione stessa dei loro timori più profondi. Davanti a loro non si trovavano semplici specchi, ma riflessi che incarnavano le loro paure, i loro dubbi e le loro debolezze. Ad ogni passo che facevano, i loro riflessi nel labirinto si trasformavano, rivelando un'immagine distorta di sé stessi, come se il labirinto stesso li permutasse.
Improvvisamente Percy iniziò a sentire un brivido lungo la schiena e il cuore che batteva con una velocità crescente. La sua paura più grande era quella di rimanere intrappolato, di non poter più trovare una via d'uscita, ma questa volta, non era solo una paura immaginaria, bensì una reale sfida che il Labirinto aveva posto dinanzi a lui. Mentre avanzavano con passo fermo e determinato, i due fratelli si trovarono davanti a uno specchio che rifletteva un'immagine distorta di Percy intrappolato in un intricato labirinto senza via d'uscita. La sua paura sembrava prendere vita di fronte a lui, alimentando la sensazione di claustrofobia.
Tuttavia, William non si fece intimidire e affrontò la sfida con audacia. Prese il braccio di Percy e lo trascinò via dallo specchio, rompendo l'illusione che la paura aveva creato.
- Percy, questa paura non può tenerci prigionieri. Dobbiamo affrontarla di petto e dimostrare che siamo più forti di ogni illusione che il Labirinto ci presenti. -
Percy annuì, rafforzato dalla presenza e dalla determinazione di suo fratello.
E così, mentre il Labirinto sembrava mutare e subire metamorfosi intorno a loro, i due fratelli rimasero saldi nel loro obiettivo di riscrivere le pagine del libro, di risvegliare il mitico Re Artù e di preservare la letteratura della storia per le generazioni future.
I due fratelli scorsero un barlume di luce all’orizzonte, l’aria fresca che riempiva i loro polmoni, il suono melodioso delle onde che si infrangevano sulla riva e le mura che iniziavano a distanziarsi. La via d’uscita si stagliava come un portale per un’altra dimensione, i ragazzi accelerarono il passo, sentendo il calore del sole sulla loro pelle mentre si allontanavano sempre di più dalla cinta che proteggeva l’isola. Quando finalmente raggiunsero la fine del labirinto, gli sguardi di William e Percy si intrecciarono, carichi di complicità e affamati di portare a termine la loro missione. Con passi decisi e cuori colmi di determinazione, varcarono le maestose porte del castello di Avalon. La prima stanza si presentava come un grande atrio, addobbato con affreschi raffiguranti le imprese eroiche di quello che fu Re Artù.
- Per risvegliare il grande Re Artù, dovrete trovare il Cuore di Avalon, una gemma di luce pura e potente che rappresenta la forza e la saggezza dell'isola - Era Orfeo, apparso dinnanzi ai loro occhi come un’apparizione, con il suo abito scintillante e la sua voce melodiosa.
I due fratelli capirono che era arrivato il momento di agire e che avrebbero dovuto compiere l’ennesima impresa, ma coscienti dell’importanza della causa. Si misero subito alla ricerca, percorrendo i corridoi del castello, superando intricati passaggi e stanze deserte, finché non raggiunsero una cripta segreta. All’interno della cripta si aprì un varco misterioso. Una luce dorata li invitò ad avventurarsi oltre, lasciandosi trasportare in un luogo magico.

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Cap. 9 - Il Cuore di Avalon
Quando i loro piedi toccarono terra, si trovarono in un bosco incantato, illuminato dalla luce lunare. Foglie dorate danzavano nell'aria, mentre il vento sussurrava segreti antichi. Un sentiero di pietra si faceva strada tra gli alberi, conducendo i fratelli verso la destinazione finale. Dopo un lungo cammino, raggiunsero una radura circondata da alberi secolari. Al centro della radura, scintillava una fonte d'acqua cristallina. Era il Lago di Avalon, custode del Cuore di Avalon. I due fratelli si avvicinarono al bacino, i loro riflessi si stagliavano chiari e nitidi sulla superficie placida dell’acqua. Tuttavia, non cercavano la loro immagine, ma piuttosto il riflesso dell'antica essenza che custodiva il Cuore di Avalon. Estendendo le mani, William e Percy si immersero nell'acqua fredda e pura. Il lago rispose al loro tocco, animandosi improvvisamente. Un leggero movimento si fece sentire e dalle profondità emerse una figura eterea. Era la Dama del Lago, la custode del Cuore di Avalon. I suoi capelli fluenti come l'acqua e il suo sorriso radioso conferivano un senso di serenità e potenza.
- Benvenuti, valorosi viaggiatori - disse la Dama - Siete giunti fin qui per risvegliare il grande Re Artù e restaurare l'equilibrio delle leggende. Avete dimostrato fiducia e coraggio, mostrando lealtà e devozione superando battaglie e sfide. È per questo che vi conferirò il cuore di Avalon, che userete per risvegliare il grandissimo Re Artù. - La Dama del Lago si avvicinò ai due fratelli con garbo, le sue mani stese in avanti, il Cuore di Avalon scintillante tra le sue dita. Con un gesto elegante, lo consegnò a William e Percy.
I due fratelli tennero il Cuore di Avalon tra le loro mani, sentendone il calore e la pulsazione vitale. Un senso di responsabilità li investì, ma anche una fiamma di speranza si accese nei loro occhi.
Ripercorsero il cammino che li riportò al maestoso castello, dove Re Artù riposava nell'eterno sonno di Avalon. Salirono le scale, attraversando le sale adornate di antiche armature. La tensione era palpabile nell'aria, mentre si avvicinavano alla porta che avrebbe condotto loro al risveglio del leggendario sovrano, ma la loro attesa fu interrotta da un'imponente figura che sbarrava loro il passaggio. Era il Cavaliere Nero, nemico giurato di Re Artù e colui che cercava di impedire che la sua stirpe si risvegliasse.
- Il vostro viaggio termina qui, giovani audaci - Tuonò il Cavaliere Nero - Non permetterò che interferiate con i miei piani. Preparatevi alla sconfitta! -
Senza esitazione, i fratelli si misero in guardia, pronti a difendere il loro scopo. William impugnò saldamente la lancia di Re Artù, risplendente di una luce dorata, mentre Percy stringeva con forza il cuore di Avalon, una gemma scintillante dal potere misterioso.
La battaglia iniziò, il clangore delle spade risuonò attraverso la stanza. Il Cavaliere Nero era un avversario formidabile, abile nel combattimento e potente nella sua malvagità. Ad ogni modo fratelli, uniti nel loro obiettivo e guidati dalla loro determinazione, non si lasciarono intimidire.
William, con la sua maestria nella lotta, sferrava colpi decisi e precisi, respingendo gli attacchi del Cavaliere Nero. In un momento di distrazione, l'avversario riuscì però a infliggere un colpo profondo a William, ferendolo gravemente.
Il sangue sgorgava dalle sue ferite, ma William, con un colpo deciso, piantò la lancia nel cuore del Cavaliere Nero. Un bagliore luminoso avvolse il nemico sconfitto, mentre la sua figura si dissolse nell'ombra. Mentre William lottava per restare in piedi, Percy, con il cuore pieno di angoscia, si trovò di fronte ad una scelta impossibile. Doveva decidere se curare immediatamente suo fratello o risvegliare Re Artù.

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Cap. 10 - La gemma nel cuore
Il volto di William si illuminò di determinazione, nonostante il dolore. - Percy, risveglia Artù. Proteggi il nostro scopo, ti affido questa missione. Le parole di William spronarono Percy, che sentì l’urgenza di soddisfare quello che sarebbe potuto essere l’ultimo desiderio del fratello e di portare Artù alla sua piena potenza. Poi, con un’ultima occhiata da parte di William, Percy si avvicinò alla statua di Re Artù e incastonò la gemma nel cuore di pietra del combattente. Re Artù si sciolse dal suo sonno millenario, comprendendo immediatamente la situazione. Con un gesto di gentilezza e gratitudine, si avvicinò a William ferito e lo prese tra le sue braccia. - Coraggioso guerriero, non permetterò che la tua luce si spenga - disse con voce ferma. Percy guardò con gratitudine il nobile gesto di Re Artù, mentre il grande sovrano sollevava con delicatezza il ferito William tra le sue braccia. Re Artù si mosse con determinazione attraverso i corridoi del castello, guidando Percy verso una stanza segreta. Lì, in un angolo illuminato da un tenue bagliore, Percy scorse il saggio e anziano Mago Merlino.
Merlino si alzò dal suo scranno di pietra e, con uno sguardo penetrante, scrutò William. La saggezza brillava nei suoi occhi, mentre un'aura di potere lo circondava. Con una voce calda e rassicurante, disse: - Il destino ha riunito i vostri cammini, giovani eroi. Lascerò che la mia magia si intrecci con il Cuore di Avalon per guarire le ferite di William - Le sue mani si mossero con grazia e perizia, evocando incantesimi e canalizzando l'energia magica intorno a William. Una luce argentea avvolse il corpo del ragazzo, mentre il dolore si attenuava e le ferite cominciavano a rimarginarsi.
I fratelli osservavano con meraviglia e speranza, mentre il potere curativo del mago Merlino riportava William alla vita. Il giovane aprì gli occhi, sentendo la vitalità scorrere nelle sue vene, come una corrente di guarigione.
- Ringrazio te, saggio Merlino, per avermi donato la vita - disse William con la gratitudine nello sguardo - E ringrazio te, Re Artù, per avermi salvato e avermi dato la possibilità di portare a termine questa battaglia - Re Artù sorrise fieramente e pose una mano sulla spalla di William. - La tua forza e il tuo coraggio sono un tesoro inestimabile, giovane guerriero. Ora che sei guarito, potrai unirti a noi nella lotta per proteggere le leggende che fanno vibrare l'anima dell'umanità -

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Cap. 11 - L'ultimo dono
I protagonisti vennero catapultati improvvisamente in un altro mondo, ma questa volta l’aria aveva un profumo di casa. Davanti a loro era tornato il camino, e mentre si scaldavano attorno al fuoco, si udì un fruscio e una luce radiante riempì la stanza. Orfeo, che aveva silenziosamente osservato le loro gesta, si avvicinò ai fratelli. - Voi, valorosi eroi, avete superato ogni prova e avete restituito l’inchiostro ai più grandi scrittori della storia, ma - Mentre Orfeo pronunciava queste parole, si sentì uno squarcio nel cielo notturno. Un bagliore intenso illuminò la foresta, e lì, di fianco alla baita di montagna, dove gli alberi cadevano come le tessere di un domino, comparve un gigante imponente. Percy e William Uscirono dalle mura. Il Gigante del Destino, figlio dei Titani, si ergeva dinnanzi a loro. La sua statura gigantesca raggiungeva quasi le nuvole, mentre il suo corpo muscoloso era avvolto da una pelle dura come la pietra. I suoi occhi brillavano di un fuoco feroce e la sua voce tuonava come un ruggito di tempesta. La sua arma era una mazza di titanio, ornata di rune antiche che incutevano terrore a chiunque le vedesse. Ogni colpo che sferrava creava un'onda di energia distruttiva, capace di scuotere le fondamenta stesse del mondo. Mentre Percy e William si trovavano di fronte al gigante, un vento leggero attraversò la radura, portando con se una voce. Erano le voci di Re Artù e Ulisse, che risuonavano come un eco lontano.
- avete dimostrato il vostro valore e la vostra dedizione nella lotta per proteggere le leggende e la letteratura stessa. Vi conferiamo ora il potere delle nostre armi leggendarie per affrontare il figlio dei titani e sventare il suo piano malvagio. Prendete Excalibur, la spada del mio regno, che porterà con sé il fulgore della giustizia e della lealtà. E prendete anche Tauropolos, l’arco di Artemide, che incanala la destrezza e l'ingegno astuto. Con queste armi, combattete con coraggio e tenacia, e sconfiggete il nemico che minaccia l'ordine dell'universo. -
Mentre le parole si dissolvevano in un’aria carica di tensione, Percy brandì saldamente Excalibur. La lama emanava una luce intensa, come se fosse pronta a falciare l’oscurità stessa. William afferrò Tauropolos, sentendo un leggero formicolio lungo le dita. L’arco sembrava pulsare, pronto a scoccare frecce infuocate che avrebbero superato ogni ostacolo. Con una sincronia impeccabile, i due fratelli si scagliarono contro il Gigante. Percy danzava abilmente tra i colpi della mazza, sferrando colpi precisi e potenti con Excalibur. Ogni fendente della spada faceva sprigionare scie di luce, fendendo l'aria con grazia e ferocia.
William, posizionatosi a distanza, prendeva la mira con il Tauropolos e scagliava frecce infuocate contro il Gigante. Ogni freccia dava vita a una pioggia ardente che avvolgeva il Gigante in una tempesta di fuoco. Il Gigante del Destino era ormai ferito e indebolito, ma proprio quando sembrava che i fratelli avessero la vittoria tra le mani, il Gigante si rialzò con un urlo di sfida. Un'ultima ondata di energia distruttiva si sprigionò dalla sua mazza, minacciando di cancellare ogni traccia di speranza.
I fratelli si guardarono negli occhi, e in quel momento compresero che dovevano unire le loro forze in un attacco finale. Percy si avvicinò al Gigante con un balzo e, con un colpo poderoso di Excalibur, colpì il punto debole del Gigante, mentre William scagliava una freccia fiammeggiante nel cuore che dava vita a tanto fervore. Il gigante crollò, facendo tremare anche gli animi dei fratelli. La vittoria era finalmente loro. Si abbracciarono, esausti ma soddisfatti.
Orfeo era nuovamente lì, ma questa sarebbe stata l’ultima volta. - Non potevo lasciarvi andare senza donarvi un ultimo dono - disse con voce melodiosa. - Le Cronache dell’infinito si sono riscritte, la magia delle leggende vive ancora. Ora potrete continuare il vostro viaggio attraverso i mondi della letteratura, ma con un potere nuovo. -
Con un gesto della sua lira, Orfeo aprì un varco nel tempo e nello spazio. Un portale si materializzò davanti ai protagonisti, rivelando una vastità di mondi e storie da esplorare. Era l'opportunità di vivere avventure senza fine, di condividere la loro luce con ogni angolo del multiverso.
Gli eroi si guardarono negli occhi, pieni di gratitudine e determinazione. Erano pronti per il prossimo capitolo delle loro storie. Attraversarono il portale, lasciando la loro dimora e lanciandosi in un'infinità di mondi e avventure.
Così, mentre il fuoco di quel camino si consumava lentamente, la loro saga continuò ad illuminare i cuori di chiunque incontrassero, difendendo la magia della letteratura e la forza dell'immaginazione, per sempre.